A cura della Fondazione Milano Policroma
Testo di Riccardo Tammaro
Nel corso degli anni, ho incontrato molte persone nate nella nostra zona
che, costrette da vicende varie ad allontanarsene, hanno sempre cercato (e spesso
trovato) il modo di tornarvi ad abitare.
Una indiretta conferma dell'amore per la nostra zona l'ho riscontrata nelle
parole della signora Franca Piazza che quando, qualche giorno fa, mi raccontava
della sua infanzia, lasciava trasparire una nostalgia non soltanto dettata
dal ricordo della sua giovane età di allora, ma anche da quello del tipo di vita
che si svolgeva a quei tempi in zona 4, per la precisione in via Cadore (in cui
non è più tornata dal 1946).
I genitori della signora gestivano un negozio di bar e gelateria al numero 6
della via, nei pressi di corso XXII marzo, e quindi proprio di fronte
al parco Formentano, che a quell'epoca, quando lei era bambina, quindi prima
della seconda guerra mondiale, era ancora "Il Verziere", ossia il mercato
ortofrutticolo che in seguito si sarebbe spostato nella sua sede attuale.
Ed infatti i più fedeli clienti del bar erano proprio i facchini del
mercato, che vi andavano a bere il caffè espresso (il bar fu uno dei primi ad
avere il permesso per tenere la "Cimbali") ed anche a mangiare qualcosa all'ora
di pranzo, grazie alla cucina pronta che veniva preparata nel retro, con pochi
tavoli di legno. All'esterno, invece, i tavolini erano circondati da sedie in
legno che venivano fabbricate dei carcerati di San Vittore.
Non mancarono, tra gli avventori, personaggi famosi, come Gabriele
D'Annunzio e lo stesso Benito Mussolini, i quali prendevano in braccio la signora
Franca, che allora aveva solo quattro anni, oppure il re VIttorio Emanuele ed un
certo Volpi, caporione fascista, dal cui bastone, premendo un bottone, scattava
la lama di uno stiletto.
La bambina, infatti, già a quell'età aiutava nel negozio lavando le tazzine
del caffè, iniziando quindi ben presto l'attività lavorativa in aiuto dei
genitori. Erano i tempi in cui sull'ampio marciapiede non stazionavano automobili
in sosta, ma nello spazio sterrato tra l'asfalto e la cordonatura i bambini
giocavano ai "tollini" (tappi a corona antesignani delle biglie di vetro, o
alternativa ad esse per chi non se le poteva permettere). A proposito di tappi,
andava per la maggiore il tappo "a pallina" (e spesso la gassosa veniva denominata
"champagne de la baletta"), e la signora mi ha confessato che talvolta, per
avere la pallina, non aveva esitato a rompere la bottiglia (ricevendo poi la
giusta razione di botte per la sua bravata).
A proposito di bottiglie, l'acqua minerale (Giommi) veniva portata al bar
su un carro trainato da cavalli, indi scaricata a spalle; lo stesso avveniva
per il ghiaccio; il latte invece veniva trasportato su biciclette o tricicli,
nei quali si potevano appoggiare i cestelli.
Un'altra caratteristica di quei tempi erano senz'altro i fanali
dell'illuminazione, che venivano accesi la sera con il fuoco che si trovava in
cima ad un apposito bastone (si trattava di luci a petrolio) e spenti la mattina
con la "cappella" (qualcosa di simile allo strumento usato dai sacrestani per
spegnere i ceri, ma posto in cima ad un lungo bastone).
Nonostante i tempi non fossero tra i più allegri (con lo scoppio della
guerra la gente iniziò a non pagare più il latte che il signor Piazza
portava a domicilio in bicicletta fino alle nuove costruzioni del quartiere
Calvairate), la signora ha conservato ottimi ricordi della nostra zona, segno
di un attaccamento che il tempo trascorso non è riuscito a far sfumare.